C’è Chuck, e non Norris, ma Palahniuk.
E poi William, con un pezzo di Blake (il pezzo delle visioni all’asilo) e tanto (ma taaaanto) Burroughs (beat fino al buco del culo del mondo).
E c’è DFW. Ce ne sono tanti. E tutti vivi (chi più, chi meno).
C’è anche Leyner, ma ancora non lo sa.
Dietro l’angolo, ancora nell’ombra, ma già con un piede oltre il muro, c’è Tom. Quello dei Feroci invalidi di ritorno dai paesi caldi.
C’è il Joe Richard Harold dentro al delirio del drive-in.
C’è luce.
C’è calore.
C’è quel buio che ti toglie il fiato e fa alzare i battiti fino a sentirteli sbattere contro le tonsille.
C’è pathos da ribaltare le budella.
E fame. Una fame atavica, insaziabile, impossibile da placare.
Non c’è gloria. Non c’è successo. Non c’è notorietà.
C’è una moneta, ma non c’è denaro.
C’è sudore, ma non lavoro.
C’è il silenzio del potere, il godimento del sapere, la lussuria – assoluta e quasi dolorosa – del piacere.
Ci sono regole ferree. Pronte per essere cambiate.
Muri altissimi e codici criptati. Portoni che si aprono sbattendo le ciglia e saltellando su una tastiera con dita più veloci di termiti impazzite.
Ci sono notti infinite e incredibili e pazzesche e giorni col sorriso sotto i baffi che aspettano il tramonto.
Ci sono voci. E risate. E brividi.
Qui dentro, nella scatola, c’è un movimento. Non una setta. Non un club (di certo non un club. Fanculo ai club). Non un gruppo. Non una lobby. Nemmeno un team.
Questa scatola, quadrata, enorme e pesante e anonima, è un movimento.
Qui dentro, nella scatola, non ci sono nomi, ma etichette attacca-e-stacca, di quelle che una volta stanno sul leone e un’altra sul coccodrillo. O sulla libellula. O sull’iguanodonte.
Istruzioni? Poche.
Routine? Nessuna.
Formazione? Dipende.
Obiettivi? Stai scherzando?
Per giocare con noi, devi volerlo. Per volerlo, devi esserci nato.
(Parliamo di genetica, non di indole.)
Alobar.
Cosa c’è nella scatola del gioco della ghost writer’s gang?
Posted byRGA
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